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al testo di Ivan Pozzoni
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Mi ricordo di me a occultarmi negli anfratti delle catacombe urbane, rinserrato tra videocitofoni, cancelli elettrici, sporgenze a scivolo, telecamere, i moderni cavalli di frisia di una città mixofoba impegnata a incarcerare i suoi abitanti.
Mi ricordo di me a sfuggire ad ogni progetto di vita, liquidandomi giorno per giorno, me che ho ricusato addirittura il suono del (di)lemma «amore», componendo melodie in sol, sol, sol, irresponsabile rasserenante solitudine.
Mi ricordo di me, ingurgitato schiavo dall’ideologia del lavoro, a vivere su banconi, dietro scrivanie, tra macchinari d’ogni genere, terrorizzato dall’idea stessa dell’assenza dell’oggetto odiato.
Mi ricordo di me a tenere in disciplinato ordine, in serie infinite di cartellette marroni, serie infinite di documenti inutili, scontrini, CUD, bollette onorate, assicurazioni scadute, carta su carta, albero su albero, milite ignoto del sopravvivere quotidiano.
Mi ricordo di me a strepitare in vorticose code d’automobili, a dilapidare il tempo in inutili file in banca, alla cassa di un supermercato, davanti allo sbrilluccicare natalizio di una slot machine elettronica.
Le mie mani pleonastiche, adesso, graffiano, battono, martellano una cassa d’acero risucchiata nel ventre duro del terreno lottizzato d’un cimitero, e i bozzi fatti sulla cassa non staranno mai a dimostrarmi d’essere stato vivo anch’io.
[Patroclo non deve morire, 2013] |
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